Nobel Economia alla Ostrom: difende i Beni comuni |
A Oslo è stato consegnato il Nobel per l'economia per la prima volta ad una donna, Elinor Ostrom, l'economista eterodossa che si batte per la difesa dei «beni comuni», naturali e collettivi. Il 12 Ottobre 2009 per la prima volta nella storia una donna, la statunitense Elinor Ostrom dell'Università dell'Indiana, nata nel 1933 a Los Angeles, è stata insignita del premio Nobel per l'Economia. Il principale apporto di Ostrom è una lettura dei meccanismi che governano l'uso di beni comuni come laghi, pascoli, boschi, ed in generale risorse ambientali difficilmente suddivisibili (per ragioni tecniche, giuridiche o ecologiche) e per le quali esistono potenziali conflitti a causa delle rivalità d'accesso. Un'analisi che possiede portata più ampia e generale, estendendosi ben al di là delle risorse naturali. Hardin dimostra come, di fronte ad un pascolo aperto a tutti, ogni pastore segue razionalmente una logica del profitto individuale che, aggregata collettivamente, conduce tragicamente all'esaurimento della risorsa comune. Ostrom analizza e contesta alla radice tale impianto, evidenziandone le falle metodologiche e dimostrandone deboli le conclusioni. Uno dei suoi meriti principali, sicuramente alla base del riconoscimento del Nobel, è che la sua critica è mossa dall'interno del paradigma dominante, utilizzandone strumenti e metodi in maniera rigorosa, per giungere a risultati opposti. La prima critica al modello di Hardin è che, in realtà, ciò che lui definisce «commons» non sono risorse comuni, bensì risorse in libero accesso. Non è una differenza di poco conto: nella realtà, per risorse importanti, i «commons» sono spazi e risorse naturali collettive, appropriate e gestite da un gruppo definito, secondo modalità e norme definite, che in generale, storicamente e geograficamente, sono la regola, mentre il libero accesso rappresenta l'eccezione. E ciò nonostante il processo storico di espansione delle recinzioni, in atto sin dall'inizio della rivoluzione industriale. Come brillantemente descritto da Marx nel Capitale, i commons, terre non recintate, dalla destinazione compatibile con l'esercizio di diritti d'uso consuetudinari da parte delle popolazioni locali, che ne consentivano la sopravvivenza, sono stati espropriati dalle enclosures (recinzioni), meccanismo che, nell'Inghilterra del XVII secolo, diede inizio all'accumulazione primitiva del capitale, creando ricchezza privata sulla sottrazione di diritti alle popolazioni rurali locali, permettendo la sostituzione di un sistema di produzione locale e diversificato, fatto di produzioni locali di sussistenza ed esportazione di lana tessuta artigianalmente a domicilio, rimpiazzato dalla monocultura capitalistica della lana (pascolo per l'allevamento delle pecore), per fornire alle industrie tessili urbane non solo la materia prima, ma anche masse di contadini espulsi dalle terre comunali recintate, l'esercito industriale di riserva di cui il capitale aveva bisogno per espandersi. In sintesi, la tragedia di Hardin è una tragedia del libero accesso: se in assenza di regole le previsioni tragiche del modello sono corrette, la «proprietà comune» rappresenta in realtà una delle possibili risposte alla tragedia, le soluzioni della quale non si limitano a Stato e/o mercato: esiste una «terza via», le cui possibili forme concrete sono molteplici e diverse, ma che gli studi empirici in tutto il mondo, evidenziando l'esistenza di istituzioni collettive spesso millenari che gestiscono con sorprendente efficienza e sostenibilità sistemi e risorse ambientali estremamente complessi, ci impongono di analizzare e comprendere a fondo. Il modello del dilemma del prigioniero è seriamente criticato per le ipotesi di gioco a turno unico ed assenza di comunicazione, semplicistiche ed irrealistiche, su cui fonda le sue previsioni. La realtà non è avulsa dalla storia, dai processi di apprendimento fondati sugli errori, e gli attori possono comunicare tra loro. Introducendo progressivamente, nel dilemma del prigioniero applicato alla gestione di risorse comuni, giochi a turni ripetuti e comunicazione, le soluzioni si allontanano parecchio dalle previsioni tragiche iniziali, tendendo a risultati intermedi rispetto all'ottimo teorico. Ciò obbligherebbe i tradizionali versanti politici contrapposti, fautori dell'una o dell'altra soluzione, le cui controversie possono essere sintetizzate attorno al modello di Coase sull'esistenza e/o sull'entità dei costi di transazione per ogni caso specifico - riducendosi a preferire la privatizzazione se il mercato consente minori costi di transazione, o la nazionalizzazione nel caso inverso - a confrontarsi con un universo di alternative possibili a quella che, in entrambi i casi, costituirebbe un'espropriazione dei commons, considerando modelli di gestione dal basso, fondati su nuove ed antiche forme di empowerment delle comunità di utenti di risorse collettive. I lavori di Ostrom hanno ispirato una scuola di pensiero multidisciplinare sviluppatasi principalmente attraverso l'attività di un quarto di secolo della Iasc (International Association for the Study of Commons), nonché con spazi di interfaccia e penetrazione significativa presso gli economisti ecologici (Isee - International Association of Ecological Economics, che la stessa Ostrom contribuì a fondare), che si distinguono dagli economisti ambientali per il rifiuto del paradigma neoclassico, perché riduzionista della complessità socio-ambientale. Speriamo che il nobel rosa-verde del 2009 rappresenti uno stimolo positivo in tal senso: vorrebbe dire che c'è ancora speranza, per gli economisti e per il futuro di un mondo che sta anche (e spesso soprattutto) nelle loro mani. di Vincenzo Lauriola |