Dossier “Partire e ritornare” |
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Per molti anni la migrazione è stata uno dei temi più dibattuti nell’opinione pubblica europea, ma anche uno dei temi più “caldi” che oggi i governi devono affrontare e che minaccia di rimettere in discussione i fondamenti della convivenza. Vista dal lato meridionale del Mediterraneo, la migrazione è un fenomeno complesso e ambivalente, perché porta ricchezza e morte, ed è intimamente legata al deterioramento dell’ambiente e alle condizioni di vita di molti Paesi nel Sud del mondo. Lo studio “Partire e ritornare”, scritto dal Centro Studi e Ricerche IDOS di Roma, è il risultato di una ricerca che fa parte del progetto di cooperazione internazionale di Green Cross Italia denominato CREA (Création d’Emplois dans l’Agriculture), cofinanziato dal Ministero dell’Interno italiano con l’obiettivo principale di sostenere lo sviluppo locale, la creazione di posti di lavoro e, di conseguenza, diminuire la propensione a emigrare da parte dei giovani senegalesi.
Con questo studio abbiamo voluto perseguire l’intento specifico di realizzare una mappatura approfondita del fenomeno migratorio senegalese, in particolare verso i Paesi europei, cercando le motivazioni che spingono ancora oggi i giovani a lasciare il Paese, indagando sulle loro speranze e le loro aspettative, sui successi e gli insuccessi, ma anche sul ruolo e gli atteggiamenti di coloro che rimangono, le loro famiglie e le loro comunità di villaggio. Lo studio è composto da due elementi principali: l’indagine sul campo (un questionario somministrato a 365 persone di diverse età e status socio-economico che vivono nella regione senegalese di Matam, con 22 interviste semi-strutturate a rappresentanti di istituzioni, aziende, organizzazioni di cooperazione internazionale e della società civile); un quadro socio-statistico del fenomeno migratorio senegalese a supporto dello studio empirico. La diaspora senegalese in tutto il mondo (vale a dire il numero delle persone nate in Senegal che abbandonano il Paese) nel 2017 supera il mezzo milione (559.952) ed è pari al 3,5% della popolazione residente nel Paese. Maggiore è la percentuale di migranti interni, stimata al 14,6%. La ripartizione a livello continentale è equamente divisa tra due grandi poli d’attrazione: da una parte l’Europa, dove vive il 48,6% della comunità residente all’estero; dall’altra parte il continente africano stesso (42,8% della diaspora totale). ![]() La principale destinazione dei lavoratori senegalesi in Europa è stata per lungo tempo la Francia, seguita dall’Italia e dalla Spagna. I dati del 2017 attestano che l’Italia è divenuta il primo Paese europeo per numero di senegalesi titolari di permesso di soggiorno (97.056), seguita da Francia (68.726) e Spagna (61.728), anche se la più grande diaspora in Europa è ancora in Francia in ragione del gran numero di naturalizzati e seconde/terze generazioni di origine senegalese. La migrazione ha un impatto significativo sull’economia del Paese di origine: per il benessere delle loro famiglie e dei loro villaggi, i senegalesi all’estero inviano ogni anno un importante contributo, che nel 2017 ha raggiunto il volume totale di 2.238 milioni di dollari in rimesse (pari al 13,7% del PIL del Senegal), di cui 371 milioni dall’Italia (pari a 309 milioni di euro). ![]() FONTE : Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati Nazioni Unite, POP/DB/MIG/Stock/Rev.2017 L’indagine sul campo condotta nell’ambito del progetto CREA ci dà molte indicazioni sull’atteggiamento dei senegalesi nei confronti della migrazione: la maggior parte degli intervistati (90%) conosce personalmente almeno un concittadino emigrato; il 70% ha un’opinione positiva e lo considera come qualcuno che, attraverso le rimesse inviate alla sua famiglia, è migrato con successo ed è in grado di aiutare la sua famiglia e il suo villaggio. La migrazione, riferiscono sempre le interviste, è il risultato di una situazione di bisogno e privazione: quasi la metà degli intervistati non ha abbastanza da mangiare e il 60% non ha un alloggio adeguato alle proprie esigenze. Sicuramente l’emigrazione è considerata dai più come una soluzione (83%), ma certamente non l’unica (89%) e, soprattutto, nessuno vuole emigrare definitivamente. L’immagine del migrante di successo, così come la pressione esercitata dalla famiglia, è all’origine di molte partenze, ma tre senegalesi su quattro sono consapevoli dei rischi e del pericolo della migrazione irregolare.
In generale, si può dire che, sebbene i senegalesi abbiano una visione generalmente positiva della migrazione (soprattutto in termini di impatto economico), si rendono conto che di fronte al crescente protezionismo europeo per quanto riguarda l’immigrazione straniera, è necessario creare valide alternative per lo sviluppo interno del Paese. Per raggiungere questo obiettivo, il ruolo e la presenza dei cosiddetti “migranti di ritorno” dovrebbe essere ulteriormente promossa. Infatti, la maggior parte dei rappresentanti della diaspora che abbiamo incontrato durante la nostra missione non sembrano a proprio agio con l’idea di investire i loro risparmi nei territori rurali d’origine e preferiscono contesti urbani come quello della capitale. Vi è quindi una mancanza di fiducia da parte della diaspora nei confronti della regione di origine, tanto che i progetti finora realizzati dai migranti di ritorno si sono limitati a interventi molto immediati, incentrati sul miglioramento delle condizioni di vita della comunità (scuole, strutture sanitarie, pozzi, ecc.). Ciò che manca e si nota in quasi tutte le nostre interviste è la canalizzazione delle risorse dell’emigrazione in progetti produttivi nel medio/lungo termine, con cui si potrebbe anche compensare la riduzione del livello delle rimesse dall’estero. I rappresentanti della diaspora e dei rimpatriati non costituiscono solo una risorsa economica, ma hanno anche accumulato know-how e competenze che potrebbero essere fondamentali nel processo di sostegno allo sviluppo delle comunità di provenienza. Pertanto, queste competenze dovrebbero prima essere identificate e messe al servizio delle iniziative di sviluppo locale. Se necessario, dovrebbero essere rafforzate con corsi di formazione specificamente incentrati sulla gestione dei progetti e indirizzati anche agli amministratori locali. La questione della diaspora e della sua valorizzazione porta ad affrontare il tema del ritorno, che rappresenta (se definitivo) la fase finale di diversi progetti migratori. Il ritorno volontario assistito (RVA), previsto dalla legislazione italiana, è nella maggior parte dei casi affidato alla gestione dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che nel 2017 ha assistito il ritorno di 1.986 cittadini senegalesi. L’RVA è incoraggiato non solo dai Paesi di immigrazione, ma anche dalle reti di migranti che forniscono supporto ai concittadini che intendono tentare il ritorno. La rete “Ndaari” è stata creata da Karounga Camara, autore del libro “Osare il ritorno”, una preziosa guida al ritorno volontario, con molti suggerimenti in termini concreti e motivazionali. Oltre alle iniziative lanciate a favore della diaspora senegalese in Italia, ci sono anche associazioni nate dalla collaborazione tra diaspore e organizzazioni italiane, come “Roma-Dakar”, un’associazione creata nel 2012 con l’obiettivo di fornire informazioni a 360 gradi sul panorama migratorio italo-senegalese, con particolare riferimento alla migrazione di ritorno anche attraverso il sito bilingue (in francese e italiano) www.retourausenegal.org, realizzato attraverso il progetto di ricerca “Percorsi migratori tra Italia e Senegal”. Per quanto riguarda il questionario somministrato da IDOS nella regione di Matam, è chiaro che il ritorno è un’opzione ben presente nella maggior parte degli intervistati: il 73% afferma che i migranti con cui sono in contatto intendono rientrare. Inoltre, quasi il 100% degli intervistati ha risposto che, nel caso in cui decidessero di emigrare, lo farebbero solo per un’emigrazione temporanea. Tra le cause della migrazione c’è il crescente ruolo del degrado ambientale. La siccità e la desertificazione hanno colpito molti Paesi dell’Africa occidentale, tra cui il Senegal, dove già mezzo secolo fa l’esaurimento delle risorse agricole e ambientali stava mettendo in ginocchio la popolazione locale e aprendo le porte alla migrazione. Attualmente, le persone intervistate ci presentano l’immagine di una regione in cui le precipitazioni diminuiscono e il fiume Senegal si sta prosciugando, creando una nuova categoria di migranti, i “rifugiati ambientali”. Questo gruppo di migranti, che potrebbe raggiungere la cifra globale di 200 milioni entro il 2050 (secondo l’OIM), al momento esiste solo su carta, in assenza di un riconoscimento giuridico. La situazione corrente rende obsoleta la distinzione tra migranti economici e richiedenti protezione internazionale, perché la povertà, la mancanza di occupazione e il cambiamento climatico sembrano costituire un unico “flusso misto”, generato dalle stesse motivazioni per la sopravvivenza. Con grande saggezza, gli intervistati considerano la migrazione come una delle strade da percorrere, ma rifiutano nella stragrande maggioranza di considerarla una scelta obbligata. Nessuno lascia in maniera avventata la sua casa, i suoi congiunti, il suo Paese. “Se c’è un diritto che deve essere rivendicato, è quello di poter rimanere e sopravvivere decentemente dove si nasce”, afferma il giornalista e scrittore Valerio Calzolaio, autore dell’introduzione allo studio. È ovvio che le popolazioni rurali dovrebbero essere aiutate a livello nazionale e internazionale per esercitare questo diritto, affrontare questa situazione critica, avere alternative concrete nel loro Paese di origine, se si vuole impedire che l’emigrazione diventi l’unica via di fuga e, in definitiva, l’unico modo per sopravvivere. |